Lettera di Moustafa Barghouti

Forse anche questa lettera può essere considerata come “controinformazione”…comunque la si voglia leggere è un modo per ricordarci un dramma perpetuo…sempre troppo poco conosciuto nelle sue molteplici strazianti realtà.

Lettera di Moustafa Barghouti

Leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua.
Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla
fame e dalla sete.
E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti?
I bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano?
Chi muore perché manca l’elettricità in sala operatoria muore di guerra o di pace?
Si chiama pace quando mancano i missili – ma come si chiama, quando manca tutto il resto?
E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo,
inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro
razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un
attacco contro i civili – e d’altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che
chiacchierano di Palestina, qui all’angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di
resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? – se nei documenti ufficiali siamo
marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele?
Se l’obiettivo è sradicare Hamas – tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a
esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l’esercizio della
democrazia – ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa.
Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si
oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito unodio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di
disertare – non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altra Palestina, terza e diversa,mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas.
Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa – la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.
E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani,
purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente – e ma come potrebbero mai
averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto – perché mai dovrebbero
averlo, se la Road Map è solo l’ennesima arma di distrazione di massa per l’opinione pubblica
internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici,
e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti,
come – testuale – gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un
crimine di guerra non una questione di cortesia.
E se Annapolis è un processo di pace, mentre l’unica mappa che procede sono qui intanto le terre
confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati – perché allora non è processo
di pace la proposta saudita? La fine dell’occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti
gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta,
dall’altro lato del Muro?
Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani,
poi leggerò solo, ancora, l’indifferenza.
Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni
collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita – solo una vertigine di infinito abbandono e
smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi – perché dove è finita la sovranità egiziana, al
varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? – siamo semplicemente soli. Sfilate qui,
delegazione dopo delegazione – e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell’aria,
come sugheri sull’acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà,
frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi,
domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica forse? delle borse di studio? E tentiamo
ogni volta di convincervi – no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia –
sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete – e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello
squilibrio, partigiani dei vincitori – no, sarebbe antisemita.
Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant’anni, fino a sfigurarlo nel
paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da
entrambi i lati?
Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della
terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull’ultima razza
soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è
antisemitismo, ma l’esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah
chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altro Israele,
terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia
della destra.
So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di
sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid – e genocidio. Perché non importa che le politiche
israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal
diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che
l’ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni.
Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro.
Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

Lettera di Moustafa Barghouti – Parlamentare palestinese, leader del partito Mubadara
Moustafa Barghouti
Nato a Gerusalemme nel 1954, Moustafa Barghouti, è membro del Parlamento palestinese.
Segretario generale del movimento di Iniziativa nazionale palestinese; medico; in prima fila nelle
lotte per i diritti sociali, politici, umani; leader dei movimenti di base palestinesi; fautore dello
sviluppo della società civile palestinese e della democrazia dal basso; sostenitore delle riforme
interne; portavoce internazionale della causa palestinese; figura di punta del campo della pace e
dell’opposizione nonviolenta all’occupazione; organizzatore della solidarietà e della presenza
internazionale nel Territori occupati di Palestina, Moustafa Barghouti ha contribuito come pochi
altri ad iniziative che cercano di mettere pacificamente termine alla persistente occupazione
israeliana della Palestina e al tentativo di costruire la struttura istituzionale della società civile
palestinese e di promuovere i principi della democrazia interna e del buon governo.
Nel gennaio del 2005 ha partecipato alle elezioni presidenziali come candidato di Al Mubadara, il
movimento di Iniziativa nazionale palestinese fondato nel giugno 2002 a fianco di Edward Said,
Ibrahim Dakkak, Haidar Abdel-Shafi, ottenendo il 27 per cento dei suffragi e collocandosi al secondo
posto dopo Mahmud Abbas (Abu Mazen), candidato di al-Fatah.

17 gennaio: manifestazione ad Assisi
per la pace in Medio Oriente

Rompiamo il silenzio dell’Italia
http://www.perlapace.it

Rompiamo il silenzio dell’Italia
Ti aspettiamo Sabato 17 gennaio 2009. Manifestazione ad Assisi.
La guerra deve essere fermata ora. E noi dobbiamo fare la nostra parte.
Non vogliamo essere complici della guerra ma costruttori di pace

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